Dott. Geol. Fedele, Massimo Pasquale
L’area archeologica dell’antica colonia romana di Sinuessa nel territorio di Sessa Aurunca e Mondragone è stata certamente tra i maggiori siti di interesse geopolitico fin dai tempi più remoti, in quanto presidiava il passaggio più agevole verso il Sud della penisola italica ed era via di transito per tutto il bacino del Mediterraneo delle merci prodotte nella Campania Felix. Risulta quindi immediato il collegamento con la vicina isola d’Ischia (prima colonia greca dell’Italia Tirrenica), ben visibile nelle belle giornate dalla costa campano-laziale, dove si riconoscono i tratti certi di un emporion, cioè di un insediamento coloniale a carattere esclusivamente commerciale che si svolse in un momento di “pre-colonizzazione” (XI–X sec- a.C.).
Lo scrittore Plinio il Vecchio, un vero cronista dell'epoca, comandante della flotta del Miseno e naturalista romano, nella sua opera scientifica Naturalis Historia (che conta 37 volumi, testo di riferimento in materia di conoscenze scientifiche e tecniche per tutto il Rinascimento), cfr. N. H., Liber III, 59, tramanda che “…dein flumen Aufentum, supra quod Tarracina oppidum, lingua Voslcorum Anxur dictum, et ubi fuere Amyclae sive Amynclae, a serpentibus deletae, dein locus Speluncae, lacus Fundanus, Caieta portus, oppidum Formiae, Hormiae dictum, ut existimavere, antiqua Laestrygonum sedes. Ultra fuit oppidum Pirae, est colonia Minturnae, Liri amne divisa, Clani olim appellato, Sinuessa, extremum in adiecto Latio, quam quidam Sinopen dixere vocitatam.”, la cui traduzione è “…segue quindi il fiume Ufente, sopra di esso la città di Terracina chiamata Anxur nella lingua dei Volsci (popolo che abitava la parte costiera del Lazio, a sud del Tevere), e lì vi era Amyclae distrutta dai serpenti, e dopo il sito della Grotta (l’attuale Sperlonga) e il lago di Fondi, il porto di Gaeta (il poeta romano Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio, 70 a.C. – 19 a.C., fa derivare il nome di Caieta dal nome della nutrice di Enea che ivi mori durante il suo viaggio verso le coste laziali), la città di Formia (dal greco Hormiae cioè approdo; Strabone, geografo e storico greco antico, attribuisce ai Laconi la fondazione di Formia e la denominazione del golfo di Gaeta) che si riteneva la sede dei Lestrigoni. Oltre ci fu un tempo la città di Pirae, colonia di Minturnae, attraversata dal fiume Liri (l’attuale Garigliano), una volta chiamato Clanis (o Lagni), e infine, Sinuessa (località ora compresa nel comune di Cellole) situata nell’estremo Lazio che qualcuno era solito chiamare Sinope (omonima della città greca situata sulla costa del Mar Nero in Turchia)”.
Le fonti riportano che la colonia “Sinuessa” venne fondata nel 296 a.C.. Con il passare del tempo occupò una parte dell'agro Falerno e divenne una delle città più importanti e floride, prima del Latium Adiectum e poi dell'Impero Romano. Infatti, intorno al 174 a.C., Sinuessa diverrà una grande città grazie alla produzione e al commercio del vino Falerno in tutto il Mediterraneo, oltre che un ricercato luogo di vacanze per la presenza di acque sulfuree termali ubicate in località "Levagnole", tra le pendici del Monte Cicoli e la spiaggia tirrenica. Queste acquee (Aquae Sinuessanae), della cui esistenza troviamo riferimenti attendibili negli scritti di Tacito e Plinio il Vecchio, sono pacificamente riconosciute di grande qualità poiché dalle spiccate proprietà terapeutiche.
La storia della città sembra interrompersi intorno al III secolo d.C. insieme alle sue strutture portuali (Crimaco L., 1993), che sono sprofondate di una decina di metri secondo le ricerche di geoarcheologia marina svolte dall’ENEA. Tale profondità è anomala rispetto alle altre strutture simili e coeve realizzate per la costruzione di moli e banchine nei vicini abitati flegrei di Baia e di Portus Julius.
Le diverse campagne d’indagine geoarcheologica hanno chiarito meglio le dinamiche geologiche-geomorfologiche-strutturali occorse all’area nei millenni.
In maniera parallela alla linea di costa lungo il litorale comunale di Mondragone, Sessa Aurunca e Cellole, alla profondità di circa 7,0 metri e alla distanza dalla costa di circa 650 metri, si alza per circa due-tre metri da un fondale sabbioso un banco roccioso di natura ignimbritica. Il banco ha lunghezza di 8 km e larghezza di circa 2 km ed è costituito dalla formazione del Tufo Grigio Campano, deposto circa 39.000 anni fa nella Piana Campana da flussi piroclastici ad elevata mobilità provenienti dai Campi Flegrei, emissioni che aggirarono in parte perfino la catena carbonatica del Monte Massico. La presenza di paleospiagge alla stessa profondità della sommità pianeggiante del banco tufaceo induce a ritenere che questo fosse emerso e frequentato dall’uomo in epoca romana anche per attività connesse alla portualità.
Verso il margine settentrionale del banco, è stata rilevata un’area depressa, profonda circa 3 metri, caratterizzata dalla presenza di 24 elementi di forma cubica, di 3 metri di lato, in conglomerato cementizio (opus cementicium). Al top dei blocchi sono stati rilevati fori semicircolari, da adibire al sollevamento, al trasporto e all’accostamento. Sono denominati pilae e sono tipici di opere marittime romane come descritto da Vitruvio in De Architectura (sin dal I sec. a.C.). tipiche delle strutture marittime romane diffuse lungo la costa flegrea più meridionale.
La sommità del banco e dissecata talvolta da scarpate alte tra i 2 ed i 4 metri da attribuire agli effetti della fratturazione colonnare riveniente dal raffreddamento della massa ignimbritica dopo la sua deposizione in ambiente subaereo. Il banco tufaceo sommerso risulta notevolmente inciso da paleocanali in allineamento con gli attuali corsi d’acqua presenti nell’entroterra. Questi sono stati “scolpiti” in un ambiente subaereo durante l’ultimo episodio glaciale (periodo denominato Würm), quando il livello del Mar Tirreno era arretrato sino all’attuale isobata dei 110-120 metri. I paleocanali interrompono la continuita della superficie topografica, conferendo alla fascia superficiale una morfologia articolata, espressa da scarpate anche di dimensioni metriche e da vaste aree depresse a scala plurimetrica.
Successivamente la risalita post-glaciale del livello marino ha determinato un avanzamento verso terra della linea di riva, con retrogradazione delle facies di piattaforma e poi costiere, con fasi di stasi e con genesi di ambienti lagunari e palustri. Durante l’epoca greco-romana (3800-2300 anni fa) si verificarono le condizioni per la formazione del cordone dunare costiero e di retrostanti ambienti umidi.
Il canale più settentrionale, vicino alle pilae, verosimilmente permetteva il transito e la manovra delle navi romane. Il ritrovamento lungo il fondale di un grosso moncone di ancora in piombo, una grande quantità di anfore e frammenti romani, nonché di una cavità di macina, avvalorano questo rinvenimento. E’ plausibile che la fisiografia sinuosa abbia favorito la scelta di questo sito per l'attracco delle navi a Sinuessa, in quanto riparato dalle mareggiate.
Infine si menziona un altro elemento scomparso nella subsidenza tettonica, una strada basolata di epoca romana perpendicolare alla linea di riva e che si oblitera verso mare sotto la recente sabbia del cordone dunare in prossimità del complesso residenziale di Baia Azzurra. Questo moncone di via era probabilmente un segmento di una rete di strade costiere a servizio della zona di approdo della città di Sinuessa, con attività sviluppate sulla parte di superficie deposizionale pianeggiante del banco roccioso tufaceo. Di qui passava, infatti, la Via Appia (Regina Viarum), grande arteria di collegamento viario dell'epoca, costruita a partire dal 312 a.C. dal console Appio Claudio che metteva in comunicazione la colonia di Minturnae (porto fluviale nel Lazio meridionale) con Roma e con i centri dell’Italia Meridionale.
Le cause della sommersione dell’approdo di Sinuessa sono state diverse. Una è dovuta ai processi glacio-idro-isostatici avvenuti nel 300 d.C. circa, che hanno generato un innalzamento relativo di circa un metro del livello marino lungo la costa tirrenica, dalla Toscana al Lazio meridionale. Certamente più importante è stato il cedimento del fondale marino dovuto al basculamento tettonico del substrato roccioso ivi presente sotto il fondale marino, variamente interessato da faglie distensive coniugate. Si stima che questo tipo di abbassamento sia stato pari a circa 6,5-7 metri.
In sintesi, si ritiene che le attività legate a portualità all’epoca romana dovessero svolgersi sul banco tufaceo allora posto al massimo a +0,5 metri sopra il livello del mare. Le pilae erano quasi in terra emersa e quindi non potevano servire da attracco. Nelle insenature profonde dai 2 ai 3 metri, lungo un paleoalveo, probabilmente attraccavano le grosse navi romane. Le evidenze archeologiche, espresse nei ritrovamenti di pilae situate pressoché in terra emersa, di una macina cavata, anfore e ceppi d’ancora a profondità incompatibili con l’attuale livello marino confermano l’ipotesi di un banco tufaceo emerso ed impiegato come area portuale (probabilmente con un un cantiere navale) o di transito di navi. Si ritiene plausibile che la linea di riva all’epoca romana corrisponda a quella presente alla profondità attuale di -6,5/-7 metri e situata a circa 1.000 metri verso il largo rispetto la riva attuale.
Bibliografia.
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