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Monastero di Sant'Anna de Aquis Vivis

L’importante complesso religioso fu edificato sulla cima del monte omonimo. Notizie sulla struttura si ritrovano in un documento del 1325, che ne celebrava la fondazione: in quell’anno, Sancia regina di Gerusalemme e di Sicilia, moglie di Roberto d’Angiò (1309-1343), offrì al frate Benvenuto (da Sarzana) e ai suoi confratelli dodici moggia di terreno “sterile ed incolto” sul monte di Sant’Anna de Aquis Vivis, sul quale erano alcune celle con annessa chiesa dedicata a Sant’Anna.

Nel 1589 il monastero risultava abbandonato a causa “de ladri et forasciti”. Nel 1625 il vescovo di Carinola Onofrio Sersale riferì che “nella Terra di Monte Dragone … vi è l’Abbazia sotto il nome di S. Anna. Appartiene ai padri della Congregazione di Montecassino, con l’onere di residenza; tuttavia da tre anni a questa parte non risiedono”. Nel 1648 il cenobio, dopo anni di abbandono totale, fu custodito da un monaco con il compito di restaurarlo.

Due anni dopo, il monastero fu restaurato: a risiedervi erano due monaci. Nel 1673 mons. Paolo Ayrolo affermò che “la chiesa è diventata stalla per le bestie. Infatti i Padri cassinesi sono contenti dei soli redditi che ammontano a 500 ducati e più”. Nei primi anni del Settecento, grazie all’intervento degli abati Gregorio Galisio (1704-1717) e Nicola da Salerno (1717-1722), il monastero ricevette cospicui lavori di restauro e l’apporto di preziosi ornamenti.

Dopo questa data non si hanno più informazioni utili sul cenobio. È evidente che gli interventi voluti dagli abati di Montecassino erano l’ultimo tentativo di ridargli vita, ma ormai era troppo tardi: la struttura non riusciva più ad esercitare l’influenza di un tempo.

Giungendo dalla stradina sterrata, che dalla vecchia traccia dell’Appia conduce sulla piana del solitario convento, ci si trova di fronte a vestigia di un tempo foriero di opulenza che, purtroppo, è per la maggior parte diventato visibile solo ed unicamente attraverso i frammenti delle strutture scampate al crollo. Terminato il sentiero, si entra nel recinto, che contiene in posizione frontale la chiesa, cardine dell’insediamento, incastonata tra due grossi corpi di fabbrica che si articolavano in diversi ambienti, un tempo disposti su più livelli. Attraverso un piccolo varco arcato e poco profondo si entra, poi, in una corte quadrangolare, i cui confini sono segnati, esattamente, a nord e a sud delle strutture che costituiscono l’intero complesso conventuale. Il corpo di fabbrica settentrionale presenta al piano terra due profondi ambienti paralleli e comunicanti, entrambi purtroppo rinvenibili in piccolissimi tratti, che consentono, in linea di massima, di poterne tracciare le linee strutturali.

Il primo, estremo, era coperto con volta e ingresso posti all’esterno dello spazio della corte. Al di sopra di esso sono ancora visibili i resti di una sala grande con aperture e fessure oculari sovrastanti, il tutto sotto una volta lunettata di cui si rinvengono tracce per la parte addossata alla muratura. Date le particolari dimensioni, doveva essere un ambiente di rappresentanza, reso ancor più suggestivo dalla terrazza antistante che si affacciava sulla corte, costituito dal piano di copertura dell’ambiente sottostante e attiguo al primo, del quale restano alcune tracce murarie e l’innesto della volta nella muratura di confine.

Percorrendo il lungo ambiente che sosteneva il piano terra dell’ipotetica sala di rappresentanza, si giunge in un altro vano a doppia campata, coperto da quattro crociere, le cui nervature si incontrano nella zona centrale su un robusto pilastro in pietra. Sempre sul lato settentrionale e in posizione attigua alla chiesa, tramite un varco ad arco sormontato da una grossa luce a semicerchio, si trova un ambiente stretto, profondo e molto alto, originariamente ripartito in due zone. Quegli ambienti dovevano un tempo essere le cucine, considerati gli arredi in muratura che è possibile vedere tra i contrafforti della chiesa, oltre alla presenza di un camino. Tale funzione, però, deve essergli stata conferita in un secondo momento, dato che nella zona terminale, tramite un varco stretto oggi murato, si poteva accedere alla chiesa.

Da un rilievo del XVII secolo, rinvenuto nell’Abbazia di Montecassino e raffigurante la chiesa e gli ambienti immediatamente prossimi, si nota, nel luogo ove è posizionato l’ambiente, il tracciato di due stanze comunicanti, con una scala “che saglie sopra” posta in fondo, a ridosso della muratura che confina con un braccio del transetto della chiesa. Sotto la scala, poi, è un varco, che immetteva nella chiesa stessa. La scala non esiste più, ma resta il vuoto all’interno della volta di copertura, oggi chiuso con un solaio in legno e la traccia nella muratura che indica la presenza di una struttura su arco rampante. È probabile, quindi, che in origine questa fosse la sacrestia e, quando la chiesa fu completamente abbandonata e trasferita ai privati, l’ambiente fosse stato utilizzato per altri fini. Superata la chiesa, tramite un grosso varco ad ogiva si accede ad un secondo cortile, delimitato da un lato della struttura di culto e frontalmente dall’altra ala del complesso religioso, costituito da una serie di ambienti un tempo articolato su più livelli, oggi visibile solo per la parte terranea. Poco resta delle strutture che cingevano lo spazio ad oriente.

Questo spazio, appena accennato nel rilievo seicentesco della struttura, era una sorta di chiostro; di esso sono ancora rinvenibili tracce delle volte che coprivano la zona porticata, addossata alla parete della chiesa. Per quanto attiene, poi, all’ala che affaccia sulla piana contenuta dalla conca dell’Incaldana e bagnata dalle spumeggianti onde del Mare Nostrum, essa si compone di una serie di ambienti disposti in successione: il primo, allo stato di rudere, presenta un’apertura fuori dal recinto. L’ambiente successivo è a doppia campata, coperto da crociere che si incontrano al centro su un solido pilastro in pietra. In una delle campate è visibile la vasca per la pigiatura dell’uva. Proseguendo verso l’interno della struttura, si notano altre due stanze voltate a crociera e comunicanti tramite un ampio arco. Di lì, poi, si accede in uno stretto corridoio, che consente di dirigersi in tre direzioni. Di fronte, si accede all’ultimo ambiente, del quale permangono le mura perimetrali; a destra, si discende in una grossa cisterna, con una botola che dava nella zona centrale del chiostro, a guisa di pozzo, che è ben individuato nel Seicento, a destra, sul varco che immette all’esterno, ove erano le terrazze porticate.

In questi due vasti terrazzamenti è possibile ritrovare tracce di pilastri in pietra, che dovevano un tempo essere parte di un sistema di pergolati, dai qualiera possibile ammirare il suggestivo panorama della costa sottostante. Il secondoe più ripido terrapieno, invece, è contenuto da una solida parete in pietra intonacata che, all’estremità, presenta una scala su un arco rampante, che permetteva di collegarsi alla parte sottostante. Sul muraglione, inoltre, è possibile scorgere una serie di pilastri che costituivano la parte finale del pergolato. I due grandi corpi di fabbrica, settentrionale ed orientale, e gli altri ambienti posti sopra la chiesa, oggi ormai dismessi, erano collegati grazie a un percorso posto su profondi archi posti intorno alla zona absidale della chiesa, che si reggevano su potenti contrafforti. Questo percorso consentiva, oltre al collegamento appena citato, di osservare la parte restante dello splendido paesaggio montano, visibile dalla vicina colombaia alla grande rocca del Petrino. La chiesa oggi, come è possibile vedere, ha subito diverse trasformazioni rispetto al rilievo seicentesco originario.

Meno rimarchevoli rispetto al rilievo sono i due ingressi posizionati, rispettivamente, sulle pareti che racchiudono la navata, precisamente nella terza campata. Quello di sinistra, oggi chiuso, conduceva alla probabile sagrestia; quello di destra, anch’esso murato, immetteva nel chiostro. Si rileva, però, la traccia di un altro ingresso al chiostro, posto lungo la stessa parete, ma nella zona della prima campata, murato e non raffigurato nel rilievo seicentesco.

È tuttora esistente, invece, l’ingresso al chiostro dalla corte in cui affacciano la chiesa e il profondo ambiente attiguo. L’edificio di culto rappresenta senza dubbio, dato anche lo stato conservativo, l’elemento architettonico più interessante del complesso. La struttura di Sant’Anna sembra essere frutto di un’espressione architettonica sui generis, che non intrattiene con le forme locali alcun rapporto. Si è, infatti, al cospetto di un edificio con schema planimetrico a navata unica, con volte a crociera a sesto acuto che chiudono le tre campate in cui è suddiviso lo spazio; accanto all’abside centrale a pianta pentagonale, poi, ve ne sono altre due, di dimensioni minori e sempre a schema pentagonale, che determinano una sorta di ampliamento del coro o la presenza di un transetto coperto con volta a crociera (di cui, purtroppo, oggi risulta crollata la parete di fondo del braccio di destra). L’abside centrale, come le laterali, possiede una volta a sesto acuto con piccole nervature che, a guisa di vere e proprie “linee forza”, salgono dal pavimento lungo gli angoli delle pareti, sino al vertice della volta.

L’invaso centrale è illuminato da piccole aperture ricavate all’interno degli spazi delimitati da pilastrini semicircolari che articolano la parete. Al centro delle absidi laterali, invece, è possibile scorgere altre aperture. La navata, invece, presenta, al di sotto dell’unghia di ogni crociera delle piccole aperture ad ogiva, delle quali quella a destra filtra luce dall’esterno, mentre le opposte si aprono sugli ambienti che costeggiano la chiesa su quel lato. Su tutto il perimetro della navata, poi, corrono sedili in muratura e nella prima campata, in prossimità dell’ingresso, si aprono nel pavimento quattro botole, disposte in asse e in ordine di due per lato, che introducono ad ambienti occlusi da materiale di risulta. Si tratta, con molta probabilità, delle fosse per la tumulazione delle salme dei confratelli.

L’ingresso alla chiesa è posto sulla parete occidentale, che prospetta su un cortile chiuso. Tale apertura è costituita da un piccolo varco delimitato da elementi in pietra, alle cui estremità sono mensole poste ad ulteriore sostegno dell’architrave. Al disopra dell’apertura, con funzione statica e decorativa, è un arco ogivale di scarico, all’interno del quale è stata ricavata una lunetta; ancora più su è un piccolo oculo; il vano architravato, coronato da lunetta ad ogiva contenuta nella fascia in prosieguo degli stipiti lisci, è tipico dell’architettura di matrice angioina. Tutti questi elementi sono inseriti all’interno di una grande facciata in pietrame, nella quale si aprono le finestre e gli ingressi di altri vani che sovrastano e affiancano la chiesa.

Poco distante dal complesso è la colombaia, struttura isolata a forma di torre, in mattoni e a pianta circolare, posta su un basamento, anch’esso circolare, in pietrame.

La torre si articola su tre livelli: nel primo sono state ricavate quattro aperture ad arco acuto, incorniciate da altrettanti archetti che poggiano su lesene e che introducono ad un piccolo vano coperto a crociera; al secondo livello è la colombaia vera e propria, con gli ingressi per i volatili su due ulteriori livelli; a conclusione di questa delicata struttura si ritrova un coronamento in elementi triangolari, poggianti su un’altra serie di piccole lesene; infine, al culmine, è una piccola lanterna, con altri ingressi per i colombi. La colombaia affaccia su una fonte d’acqua che, in passato, secondo una leggenda popolare, sembrava possedere proprietà terapeutiche, specie nei confronti delle donne sterili.

Circa l’epoca di costruzione della preziosa colombaia non si hanno notizie certe: possiamo solo riscontrare che, nel citato rilievo seicentesco della struttura, è raffigurato a una certa distanza un elemento che potrebbe mandare idealmente a una fonte d’acqua compresa in un recinto quadrangolare. Il disegno potrebbe riferirsi proprio alla colombaia, ma nulla escluderebbe che la sua costruzione fosse avvenuta nel periodo ottocentesco, quando, attraverso la corrente del cosiddetto Gothic revival, era in voga la realizzazione di strutture ispirandosi ai canoni dell’architettura medievale.

Di recente, il complesso è stato donato alla Diocesi di Sessa Aurunca: finalmente, dopo tanti anni, la popolazione può liberamente accedere ai resti dell’antico cenobio (un tempo visitabile solo da pochi eletti) e goderne appieno la bellezza; di tanto in tanto, poi, si può assistere alla celebrazione di manifestazioni religiose o, più semplicemente, folcloristiche.

Testi di Francesco Miraglia & Corrado Valente
Foto di Concetta Di Lorenzo e Attilio Troianiello
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