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Chiesa di S. Rufino intra moenia

La Chiesa di S. Rufino Intra Moenia era, in origine, la terza parrocchia della “Terra murata” di Mondragone. Il culto di san Rufino nella Terra della Rocca di Mondragone è molto antico: al santo era dedicata anche una fiera che si svolgeva sul lido, poi dedicata a san Bartolomeo (la cui commemorazione precede di un giorno quella di Rufino) e spostata all’interno del sito urbano, nei pressi del casale di Sant’Angelo.

Le chiese edificate e documentate nella piana mondragonese legate al culto di san Rufino sono tre. La prima era posta fuori le mura della cittadella, in un’area sita tra le attuali vie Salerno e Oberdan e della quale, negli anni sessanta del Novecento, erano ancora visibili pavimentazione e zona absidale.

Il culto del santo capuano, verosimilmente, ebbe origine nel contesto insediativo della Rocca del monte Petrino in epoca normanna, mentre la costruzione dell’edificio sacro nei pressi della marina è comunemente attribuita all’interessamento di Ladislao I di Durazzo, unitamente alla donazione di alcuni territori in favore del Capitolo capuano. È probabile che, con l’abbandono della suddetta rocca e la realizzazione di nuovi insediamenti nella piana sottostante, anche il culto del santo sia stato trasferito a valle e reso concreto attraverso l’edificazione di una nuova struttura religiosa, sempre alle dipendenze del Capitolo capuano. A supporto di questa tesi è senz’altro di ausilio il Privilegium confirmationis bonorum Capuanae Ecclesiae, quae enumerantur, emesso da Alessandro III il 1° marzo 1173 e riguardante le chiese di S. Rufino in Rocca Montis Draconis e di S. Pancrazio. Dal suddetto documento si può dedurre che il piccolo edificio di culto era posto sulla Rocca. In quel periodo, la piana – soprattutto la fascia costiera – era ancora pericolosa da abitare.

Della chiesa riferisce il Pratilli: «Più oltre dunque Sinuessa, e più propriamente a destra verso il mare e presso quel luogo dove al presente vedesi la diruta antichissima chiesa col vicino campo di S. Rufino vescovo di Capoa, l’una, e l’altro dal Re Ladislao donati al Capitolo della Metropolitana chiesa di Capoa, il quale ne sta in possessione, e nomina il parroco di detta chiesa di S. Rufino, trasferita entro la vicina Terra di Mondragone».

Dalla Platea dei Beni e Pesi della Chiesa di Capua dell’anno 1726, invece, per la Chiesa in esame si parla di: «Moggia 40 di terra, dove si dice a San Rufino, vicino latere che va alla via Marina, giunta la via vicinale della Carrarola che esce alla Marina (attuale via Como, N.d.A.), giunto li beni di Angelo Nuti, sig.ri Faienza, Giacinto Cerqua, eredi Luca Tedeschi, in mezzo della quale Terra del Capitolo vi è la chiesa diruta di San Rufino e risponde al Capitolo cento tomoli di grano otto misure e tredici e mezzo (dico tomoli centotto e misure tredici e mezzo)».

Per i vescovi la presenza di una struttura di culto con annesse cospicue rendite provenienti da patrimoni vari, tutte ad esclusivo beneficio del Capitolo capuano, certamente non era cosa gradita. In data sconosciuta l’edificio, che assolveva anche alla funzione di sepoltura, dati i resti mortali ritrovati in loco (su un lotto edificato dell’attuale via Salerno), fu trasferito all’interno del perimetro murario di Mondragone, nei pressi della “Porta di mare”, che separava la cittadella dalla zona litoranea in direzione ovest.

Si può, però, ricostruire la genesi della chiesetta di S. Rufino dalle relazioni che i vescovi di Carinola inviavano periodicamente alla “Sagra Congregazione del Concilio”. Se ne hanno già notizie in quella di mons. Vitelli, redatta al volgere del Cinquecento.

Mons. Ayrolo, in più occasioni, parlando della parrocchia di S. Rufino, ne mette in risalto le condizioni di degrado, sotto il punto di vista strutturale e per quanto riguardava l’esercizio della “cura delle anime”. Il vescovo certamente non gradiva che il capitolo di altra diocesi beneficiasse dei lauti frutti di una parrocchia appartenente alla sua giurisdizione la quale, per di più, era avvinta dal degrado e senza pastore, come accadde nel 1676.

Il destino della parrocchia divenne dunque una questione di principio, tanto che approdò alla Sacra Congregazione, dopo che egli ne aveva confiscato i proventi per devolverli ai sacerdoti cui l’aveva arbitrariamente affidata.

Quattro anni dopo, in un documento redatto sempre dall’Ayrolo, ben si evince il perdurare del dissenso sulla gestione della parrocchia. In questa relazione si parla, infatti, di «una cappella talmente angusta di capienza e indecente struttura che a stento vi possono entrare 20 persone (…) Più volte nelle mie sante visite stabilii che con i redditi e i frutti sopraddetti che a tal fine sequestrai, si provvedesse a restaurare la Cappella, ad ampliarla e renderla più decente». Nel 1701 la critica situazione in cui versava la struttura non sembrava ancora risolta tanto che, ancora l’Ayrolo, scrive: «La prima [si riferisce alla chiesa extra moenia, N.d.A.] era decentemente costruita con tutti gli annessi per l’abitazione del Curato e con tutte le comodità; per incuria di detti Canonici [della Chiesa Metropolitana di Capua, N.d.A.], nonostante i decreti dei miei predecessori nelle sante visite e le intimazioni per la sua edificazione, essa è crollata dalle fondamenta. In seguito, una Cappella privata costruita nell’ambito del territorio della stessa parrocchia per devozione dei cittadini, capace di contenere non più di 20 persone la sostituì, affinché fosse poi edificata la nuova Chiesa parrocchiale, a spese del Capitolo della Cattedrale di Capua (…). Allo stesso modo, poiché la Cappella minaccia di crollare, per la stessa incuria, nella santa visita dell’anno scorso, io l’ho sospesa e interdetta e tale rimarrà sino al giorno del giudizio se non si provvederà con espresso mandato di sequestro dei redditi da spendere per la costruzione di una nuova chiesa entro i confini della stessa parrocchia, affinché i fedeli in essa domiciliati non siano costretti con grandissimo disagio a rifugiarsi in altre Chiese».

Testi di Francesco Miraglia & Corrado Valente
Foto di Angelo Razzano
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