La Basilica Minore, nota anche come Chiesa di S. Michele intra moenia o ancora come Collegiata di S. Giovanni Battista, è il centro religioso di Mondragone. Edificata lungo la strada (oggi via del Santuario) che dalla cosiddetta “Piazza” conduceva alla Porta di San Nicola, una delle arterie principali della Mondragone storica, la Chiesa ha subito nel tempo notevoli trasformazioni, che ne hanno riarticolato l’originario impianto. Come avvenne per l’Annunziata, anche quest’edificio sacro fu realizzato per volere della famiglia Carafa, al volgere del XVI secolo.
È utile ricordare che, in una relazione in lingua volgare sullo stato della diocesi nel 1589, inviata dal vescovo di Carinola Nicola Antonio Vitelli (1583-1594) alla Sagra Congregazione, si evince l’esistenza, nella Terra della Rocca di Mondragone, di una “canonica” intitolata a San Giovanni Battista, ancora in fase di costruzione. Per il proseguimento dei lavori di edificazione dell’edificio religioso erano stati eletti, per testamento, gli eredi dell’ormai defunto Principe di Stigliano e Duca di Mondragone i quali, dopo la sua morte nel 1579, avrebbero dovuto farsi carico di completare la struttura, che era diventata di loro proprietà. L’edificio in questione è la stessa chiesa di cui Luigi Carafa, a sue spese, portò a compimento la costruzione, come stabilito nel testamento del padre Antonio, che invece aveva iniziato l’edificazione del nuovo fulcro religioso.
La Collegiata di San Giovanni fu concepita quale “polo religioso” dell’intera comunità, tant’è che vi risiedevano un primicerio (dignitario con attribuzione di direzione e sorveglianza della collegiata) e cinque ecclesiastici costituenti il capitolo collegiale. Per questa sua importanza, diversamente dagli altri edifici dei casali della Terra di Mondragone (eccezion fatta per la chiesa dell’Annunziata), essa rivelava la presenza di un progetto di base, sicuramente elaborato da un maestro costruttore. La precisa geometria iconografica dell’edificio, probabilmente propria delle forme tardogotiche che influenzarono pure il complesso dell’Annunziata, è espressione di un’arte non più spontanea e popolare, ma voluta da un committente facoltoso: il feudatario. Questi, infatti, si serviva anche di tali opere per ostentare la volontà di affermare un potere che spesso contrastava con quello degli uomini di chiesa.
Con la costruzione della collegiata, i tre nuclei urbani della Terra mondragonese agli inizi del XVII secolo possedevano quattro chiese parrocchiali. Oltre all’edificio in esame, le chiese di San Michele, San Nicola e dell’Annunziata. L’impianto originario del tempio cattolico si può ricavare da due disegni planimetrici del 1713, antecedenti ai lavori di ampliamento. Si trattava di una chiesa a schema basilicale, a tre navate, suddivise a loro volta in tre campate per lato, un transetto e tre absidi a pianta semicircolare. Nei pressi dell’unico ingresso dell’edificio, posto prima della navata centrale, era presente un fonte battesimale. Le campate della navata di sinistra erano provviste di altari, così come le due pareti opposte del transetto. Il presbiterio era attrezzato con un altare sormontato da una pala raffigurante il Battista, che separava con il “trono episcopale marmoreo” addossato al primo pilastro di sinistra, la zona del coro dal transetto, co un pulpito sotto l’arco di destra di quest’ambiente; al centro era invece presente un inginocchiatoio, corredato di tappeto e sedia fissa con cuscini, ideato appositamente perché potesse essere utilizzato dal Duca e della sua famiglia. Il transetto, nella parte centrale, era sormontato da una cupola a tamburo ottagonale e da una volta ad otto fusi; la navata centrale era coperta con tetto ligneo e quelle laterali con volte. Alla navata di destra, invece, vi era annessa una sagrestia il cui accesso era posto sulla parete della terza campata. Si ha una descrizione dell’edificio anche nell’Apprezzo dei Beni del feudo di Mondragone, alla morte del Principe Carafa di Stigliano, nel 1690.
Un’analogia tra la basilica e la chiesa dell’Annunziata è l’arretramento della facciata rispetto alle quinte degli edifici delimitanti la sede stradale, così da ottenere un piccolo spazio urbano concepito per offrire una visione, ora prospettica ora frontale, della struttura sacra, fungendo, al contempo, anche da luogo di aggregazione per i fedeli.
Ma l’impianto di quest’edificio era abbastanza distante dalla nuova chiesa voluta dalla Controriforma che doveva stupire, affascinare, “superare il limite della ragione” e nelle cui maestose volte si attuava il passaggio tra lo spazio chiuso e quello del cielo, dal dolore terreno alle gioie del Paradiso. In sostanza, l’impianto dell’edificio sacro mondragonese è distante dalle chiese manieriste e barocche che sorgono nei vari centri dove la Chiesa di Roma doveva dimostrare la sua presenza e dissuadere i discepoli ad aderire alla Riforma protestante.
L’eco di tanti clamori — spargimenti di sangue dovuti alla riesumazione della Santa Inquisizione che doveva estirpare il male dell’eresia — difficilmente sarebbe giunta nei feudi dell’Italia meridionale, dove il governo vicereale era, per certi versi, più asfissiante della Chiesa stessa. È dunque normale che nei luoghi in cui l’arte è legata a fenomeni filosofici e ideologici che devono essere resi tangibili, essa abbia avuto grande sviluppo; ma nei centri minori, dove si riesce ad imporre il potere favorito da una forte ignoranza di massa, tali forme artistiche giungono soltanto di riflesso. Bastava realizzare un nuovo e più grande edificio sacro, che potesse dignitosamente accogliere, oltre alla massa, anche i vescovi, per prolungare la permanenza nel luogo e contribuire all’abbellimento dell’edificio stesso.
Il feudo era abbastanza grande e le strutture religiose dovevano essere capienti, almeno quelle del centro politico ed economico della Terra mondragonese. Accanto alla chiesa era il palazzo, che ospitò alcuni vescovi della Diocesi di Carinola durante la loro permanenza (consentita anche dal fatto che ad essi era stato messo a disposizione un edificio dignitoso). Allorché iniziarono la spola (probabilmente già con la costruzione della collegiata) tra Mondragone e Carinola, due importanti centri appartenenti al feudo dei Carafa prima e dei Grillo poi.
I nuovi feudatari della Terra di Mondragone, i Grillo De Mari marchesi di Clarafuentes “Magnati di Spagna”, giunti da Genova nel 1692, dopo aver ristabilito i rapporti con la curia vescovile carinolese diedero inizio, negli anni venti del XVIII secolo, ai lavori di ampliamento della collegiata, per poterle dare una nuova identità. I Grillo, dopo la divergenza col vescovo Cirillo e la sconfitta in tribunale, sentirono l’esigenza di farsi riconoscere, com’era avvenuto secoli prima con i Carafa, diritti sulla chiesa del loro feudo. Così dovettero sponsorizzare la quasi totale distruzione della vecchia struttura voluta dai Carafa e la realizzazione di un nuovo e più imponente edificio religioso. La consacrazione avvenne il 14 aprile 1727.
La trasformazione dell’edificio religioso fu attuata con l’ampliamento delle cappelle laterali e con la loro mutazione in navate, coperte con volte a crociera. Nella navata centrale, la copertura a tetto ormai datata fu in seguito sostituita da una volta a botte,, previo rinforzo di pareti e pilastri insieme a un sistema di contrafforti esterni. La volta a botte nuova presentava tre unghie per lato, nelle cui lunette furono formate delle ampie aperture per illuminarne l’invaso. L’intera volta è stata arricchita negli anni quaranta del XX secolo con una serie di stucchi ed affreschi raffiguranti santi e profeti. Alle absidi semicircolari furono sostituiti ambienti a pianta quadrangolare, di cui un ambiente centrale coperto con una gran crociera, mentre i laterali chiusi con volte a bacino. Il transetto continuerà ad essere poco evidente in pianta, mentre il presbiterio conserverà la cupola ottagonale e due archi ad imbotte semicircolare.
Questo tipo di arco rappresentava un sistema tipico dell’architettura tardogotica, facendo parte di un sistema strutturale caratterizzato da pilastri compositi dello stesso tipo identificabile tra la navata e l’abside della chiesa dell’Annunziata.
In occasione dell’ampliamento della collegiata furono rinforzati gli archi del transetto, inglobando i pilastri compositi in un sistema a sezione quadrangolare, eliminando gli archi ad imbotte tra la navata ed il presbiterio e tra questi e l’abside, ma conservando quelli laterali, ancora visibili. A testimonianza di questa tesi, che qualifica il suddetto presbiterio quale primigenia struttura sacra, riferibile al XV secolo, poi ampliata dai Carafa, giunge il ritrovamento, durante i recenti lavori di restauro (progetto redatto dagli archh. Francesco Miraglia e Corrado Valente; direzione dei lavori dell’arch. Francesco Miraglia), di elementi circolari in tufo pipernoide, che costituivano due dei quattro pilastri compositi delimitanti lo spazio presbiterale.
Il XVIII secolo, quindi, è stato il periodo in cui l’edificio ha ricevuto i maggiori e più importanti interventi, di tipo strutturale (il quasi totale rifacimento) e decorativo, ad opera dei vescovi carinolesi del tempo, del popolo e, primi fra tutti, dei potenti feudatari, che si prodigavano per offrire opere di valore che mostrassero la loro potenza, spesso gareggiando con quelle commissionate dai prelati. Verso la metà del Settecento furono realizzati, infine, gli affreschi e gli stucchi posti nella cappella del SS. Sacramento.